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Ingegneria naturalistica: la stabilizzazione corticale del terreno

Le radici della piante oltre ad insinuarsi nel terreno svolgono rivestono la duplice funzione di incrementare la resistenza del mezzo in cui crescono e di svolgere un’azione drenante

Si tratti di un fiume o di un versante, in entrambi i casi è possibile riferirsi alla condizione ideale di equilibrio dinamico, che si verifica quando i processi di sedimentazione (si hanno attraverso o fattori climatici o mediante la creazione di invasi artificiali, la realizzazione di opere di difesa e l’asportazione di sedimenti dell’alveo per uso antropico) si compensano con quelli di asportazione e nel caso in cui questi ultimi superino i primi si verifica un’incisione naturale del canale/terreno.

Nell’ottica di mantenimento o di ripristino di questo equilibrio, opera l’ingegneria naturalistica, che prevede l’impiego di piante vive negli interventi antierosivi e di consolidamento accanto a soluzioni tecniche tradizionali.

L’ingegneria naturalistica utilizzata in diversi ambiti ed il motivo è da ricercarsi nell’azione protettiva esercitata dalla vegetazione nei confronti dell’erosione del suolo, dei deflussi delle acque superficiali e dei fenomeni d’instabilità dei versanti. Le azioni meccaniche indotte sui versanti consistono in una protezione antierosiva dalle acque dilavanti unitamente alla stabilizzazione dello strato superiore del suolo a opera degli apparati radicali, con la riduzione dell’erosione e del trasporto solido a valle.

Le piante e i popolamenti forestali in particolar modo, svolgono un’importante funzione idrologica: le foglie intercettano le precipitazioni, causando perdite dovute ad assorbimento ed evaporazione, le radici e i fusti fanno crescere la scabrezza del terreno e la permeabilità del suolo, aumentando la capacità d’infiltrazione, le radici assorbono l’umidità dal suolo che si perde nell’atmosfera mediante la traspirazione.

Pertanto gli interventi eseguiti mediante l’ingegneria naturalistica devono corrispondere a sistemi in grado di creare, attraverso apparati radicali, un vera e propria rete profonda e resistente atta al consolidamento dinamico del suolo ed al mantenimento del corretto assetto idrogeologico.

Ambiti di applicazione dell’ingegneria naturalistica
Gli interventi di ingegneria naturalistica possono essere applicati nelle seguenti opere geotecniche:
1) rivestimento: coprono e proteggono il terreno contemporaneamente, migliorando il bilancio di umidità e del calore favorendo così lo sviluppo della vita vegetale. La semina può avvenire in modo o manuale o meccanizzato e solitamente questi metodi sono associati all’aggiunta di bioreti, geocelle, geostuoie e georeti;
2) stabilizzanti: consolidano il terreno in profondità nei versanti minacciati da frane con strati di scivolamento prossimi alla scarpata;
3) combinate: sono ausiliarie alle precedenti e consistono in interventi di difesa dall’erosione, di sostegno dei pendii instabili e di consolidamento di alvei torrentizi e fluviali;
4) drenaggio o prosciugamento biotecnico: per i grandi prosciugamenti e i ripidi corsi d’acqua con portata idrica permanente richiedono degli interventi costruttivi puramente tecnici quali cunicoli, pozzetti, cunette e drenaggi. Per quelli più modesti, invece, si sfrutta con vantaggio la proprietà della vegetazione, che deve sottrarre al terreno l’elevato consumo idrico per i suoi processi vitali.

Caratteristiche dell’intervento
Le finalità meccaniche che devono essere conseguite con l’intervento, semplice o combinato (a seconda se lo si affianca ad opere tradizionali) sono la limitazione dell’azione erosiva, la riduzione del ruscellamento nonché la stabilizzazione del terreno, ovvero il miglioramento delle sue proprietà espresse attraverso l’aumento della resistenza al taglio (Tabella 1).
A questo però occorre affiancare la velocità dell’intervento, compatibilmente con la scelta coerente della pianta o popolamento forestale a seconda del contesto ecologico-ambientale di inserimento.

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